Oggi è per me un giorno un po’ così. Dovessi scegliere, lo definirei senz’altro triste. Ma, in realtà, questa non doveva essere che una domenica come tante altre. Una tipica domenica delle mie, dedicata ai libri, alla famiglia, alla scrittura e alle passeggiate nel verde. Una domenica primaverile, di primo sole tiepido, di fiori appena nati, di propositi felici. Eppure… eppure dentro di me, oramai da tempo, un malessere sottile si è insinuato fin nel profondo, andando a stravolgere ogni pensiero e ogni speranza.

La situazione che mi vedo intorno, la tragicità della guerra e quel vortice di ineluttabile impotenza che ne consegue, sembrano oramai farla da padrone su ogni altro mio pensiero logico. E non potrebbe essere altrimenti. Tuttavia vi è anche molto di più… qualcosa che forse con la guerra ha a che fare soltanto in ultima analisi perché, di fatto, l’inquietudine che mi accompagna è presente in me già da molti mesi. Anzi, penso proprio di non sbagliare nel ritenere che mi sia compagna, seppur a fasi alterne, oramai da diversi anni.

Ad analizzarmi fino in fondo, infatti, ho compreso come alla base di questo mio malessere che, grazie al Cielo, penso non essere solamente mio, vi sia la tragica e definitiva consapevolezza di vivere in una società in cui non mi riconosco. E purtroppo direi in quasi ogni suo aspetto. Una società che non mi appartiene e alla quale forse io sento di non appartenere più. Perché in me è nata e cresciuta la tremenda consapevolezza che la nostra cosiddetta civiltà occidentale sia giunta ad un punto di non ritorno, ad uno stallo preoccupante, ad una incapacità di poter approdare ad un qualsiasi scambio civile e costruttivo.

Mi spiego meglio. Manca oggi totalmente la civile capacità di ASCOLTARE gli altri. Indipendentemente da quali siano il loro pensiero e la loro opinione. E, peggio ancora, da quale sia l’argomento trattato. La voce alta, l’ingiuria, l’offesa, l’abbaiarsi addosso, l’affibbiarsi etichette quasi sempre gratuite, la fanno decisamente da padrone in qualsiasi tipo di discussione (e uso “discussione” perché “scambio di idee”, visto il contesto che andrò a trattare, mi sembra decisamente un’espressione troppo alta).

E tutto questo, ovviamente, non può portare che a conseguenze drammatiche. Quali? Per esempio alla tragica incapacità di approfondire una qualsiasi questione, di riuscire a mediare per trovarsi a metà strada, di restare un attimo in silenzio per meditare su quello che dice l’altro. Di sedersi tutti intorno ad un tavolo semplicemente con lo scopo di trovare una soluzione. Di prendere atto della tragicità degli eventi e di cercare con tutte le nostre forze di invertire la rotta. Di scegliere il male minore.

Inconsapevolmente siamo scivolati in un mondo dove tutto si è velocizzato e dove ogni messaggio ha l’immediatezza e la durata di un tweet o di un post e dove ogni notizia è già vecchia nel momento stesso in cui viene battuta. Siamo tutti arrendevoli comparse in un teatro di vita spenta, dove ci viene chiesto di schierarci subito, senza indugio, e senza considerare le infinite sfumature e le possibili implicazioni presenti in ogni questione. Un teatro di vita da cui è stata messa al bando ogni calma necessaria al dibattito serio e alla riflessione profonda. Ed è un problema enorme perché tutto questo succede indipendentemente dalla questione di cui si parla. Che l’argomento sia il clima o la pandemia, la Champion o il riarmo, i profughi o le donne afgane, il linguaggio è sempre lo stesso come gli stessi sono i canali e i personaggi che trattano degli argomenti più svariati. Si può quindi assistere, nello stesso format televisivo, a servizi che si occupano della notte degli Oscar e poi, con la stessa nonchalance, di una possibile guerra nucleare. Così tutto langue in un limbo increscioso perché in noi non vi è più una percezione capace di mutare rispetto alla gravità dell’argomento trattato. Tutto viene svilito, rimane sull’onda quell’attimo necessario a fare notizia su televideo e poi sparisce per finire nel dimenticatoio. È infatti già tempo di parlare d’altro. Di urlare e di offendersi per altro. Perché chiunque provi a fermarsi un attimo, a riflettere un po’ più a lungo, a intrattenersi un minuto di troppo e, ripeto, provi a dire qualcosa di “leggermente contro” merita automaticamente un’etichetta che lo distingua da tutti gli altri.

Così, in questa società oramai ridotta a teatro dell’assurdo, viviamo di fatto incompresi e costretti a mettere le mani avanti ogni volta che vogliamo provare a dire qualcosa che sia solo nostro. E la cosa più tragica è che, senza rendercene conto, diventiamo tutti uguali, tutti pronti ad urlare un po’ di più per farsi sentire e a dimenticare un po’ più in fretta la tragedia del momento. Per continuare a vivere e ad andare avanti. Il più velocemente possibile. Quasi che andare oltre ci convincesse di aver già superato, nel tempo di un tweet o di un post, l’attimo di impasse, la crisi, le morti, le pandemie, le guerre.

Persino la pace.

E io vorrei tanto che tutto invece si fermasse un attimo… il mondo, la gente, la guerra, la lotta, le urla, le corse per arrivare più in là, l’impossibilità di comprendersi l’un l’altro. Vorrei davvero che l’orologio tornasse indietro a un attimo preciso, capace di durare quanto l’infinito. Vorrei che tutto tornasse a quando la sera era tale. A quando era, necessariamente, raccoglimento e riflessione, tramonto e oscurità, stelle vespertine e lune magiche appese in un cielo di silenzio. Un intermezzo di quiete che vedeva tutti riuniti insieme a parlare, calmi, intorno al fuoco.

Lo vorrei per tutti noi.

E non per essere sempre d’accordo, o condividere le stesse opinioni o doversi convincere a vicenda a tutti i costi, ma soltanto per scoprirci curiosi del pensiero altrui e mai troppo sicuri del nostro.

Magari pronti a rimanere sì, fermi nelle nostre convinzioni, ma anche disposti a fare un passo indietro.

Per lasciare uno spazio grande e illimitato soprattutto… a quelle degli altri.

6 pensieri su “Cosa vorrei

  1. Cara Silvia, il tuo pensiero mi corrisponde completamente e profondamente. Viviamo in un mondo di disvalori, in cui la morale e l’etica sono state censurate. Anch’io non mi riconosco più in questa realtà super velocizzata, divisiva, manichea. Ma noi ritorniamo alla lentezza, alla calma della sera, allo stupore della natura, alla bellezza del paesaggio, alla meditazione di bel libro di Tolstoj…

    Piace a 1 persona

  2. Grazie per questa riflessione. Non posso che trovarmi d’accordo, sperimentando quasi quotidianamente gli stessi sentimenti. Puntualmente per evitare quello che sarebbe uno scontro certo, indietreggio, talvolta nel dubbio che sia la cosa giusta da fare, più spesso nella speranza di avere ancora spazio dietro di me.

    Piace a 1 persona

    1. Grazie a te, Nicola. È purtroppo vero ciò che dici perché spesso è capitato anche a me. Per evitare una modalità di discussione che non mi è propria e che sembra non prevedere in alcun modo il rispetto dell’altro e di un’idea che non sia quella che va di moda al momento, preferisco tacere e tenere per me le mie opinioni. Penso che sia qualcosa su cui tutti dovremmo riflettere seriamente cercando di cambiare questa deprecabile e oramai diffusa modalità.
      Grazie per il tuo contributo e un caro saluto a presto.

      "Mi piace"

  3. Grazie Silvia, penso tu abbia colto il punto. Vorrei fare un esempio per approfondire il tema da te citato, descrivendo una modalità di pensiero tipica della nostra civiltà. Propaganda per sminuire e sottovalutare il “nemico”, per attuare politiche che hanno come obbiettivo il consenso incondizionato, per dimostrare una superiorità morale indiscussa. Sembra strano, ma non mi riferisco a quello che sta succedendo oggi in Ucraina, ma ad un evento che è oramai distante da noi più di 2.200 anni, e cioè la seconda guerra punica. I due consoli romani utilizzavano esattamente le stesse logiche nell’affrontare il “barbaro” Annibale, e sappiamo comunque come andò a finire. Ho fatto questo esempio per supportare l’idea che il famoso “progresso” tanto elogiato non ha neanche minimamente scalfito la nostra capacità di utilizzare metodi diversi in situazioni simili. A differenza del passato viviamo oggi in un mondo dove le logiche di mercato sminuiscono tremendamente il dialogo, dando più importanza alla forma e svuotandone il contenuto, e lo scontro al quale assistiamo è una diretta conseguenza di tutto questo. Necessariamente, a mio parere, bisogna reagire a tutto questo, cercando di portare il dialogo al di fuori del suo campo di gioco usuale con il fine di alzarne contenuti. Sono sempre più convinto che mentre la Repubblica Romana era in guerra e a rischio di esistenza, noi dobbiamo sentirci in guerra e tenere presente che a rischio sono la nostra dignità, le nostre radici e la nostra integrità morale. Grazie ancora.

    Piace a 1 persona

    1. Ma grazie a te! Estremamente calzante il paragone. Purtroppo è vero ciò che dici… di tempo ne è passato, ma le modalità rimangono sempre le stesse. Purtroppo. Non rimane davvero che cercare di lavorare per creare presupposti diversi. La strada è lunga ma iniziare a muoversi verso la consapevolezza di dover, necessariamente, lavorare per un mondo diverso e migliore, è già un passo importante. Un abbraccio.

      "Mi piace"

Lascia un commento