La mia è una casa antica. Fa parte di quelle vecchie dimore di una volta, tante stanze, soffitti molto alti, terrazzi grandi come giardini. È nascosta in una strada del centro storico e ha una cucina ampia e luminosa. Una stanza che io adoro perché è lì che alla fine, snobbando salotti e salottini, noi di famiglia ci raduniamo intorno ad un tavolo. Ed è sempre lì che io, ogni pomeriggio, mi invento la torta del momento e che mi prendo cura di chi amo. In fondo mescolare sapori, odori e ricordi significa anche questo. Come avrete capito è per me una stanza del cuore tanto che ho dipinto le sue pareti del verde che preferisco e ho piantato sul terrazzo, a cui si accede dalla sua portafinestra, tutte le piante che sento più amiche : timo, rosmarino, calendula, malva, cedrina, lavanda, salvia, un albero di mele e uno di ciliegie… insomma, di anno in anno, l’elenco si fa sempre più lungo.

Tuttavia di questa stanza grande amo un particolare che definirei addirittura minimo: una piccola finestrella vicino alla cappa e ai fornelli. È una finestra lunga e stretta, ha un’inferriata davanti, una bianca tendina ricamata che indossa quasi fosse un abito della festa e un orologio appeso di lato, colorato di speranze e deciso a ricordarle, e ricordarmi, lo scorrere del tempo. E ogni mattina, un attimo dopo il risveglio e già con la caffettiera in mano, mi fermo un attimo ad osservare attraverso il ricamo della sua tenda. È un momento che mi concedo nel silenzio della casa, prima ancora che tutto ricominci. E, lentamente, mi sono accorta che questo attimo solo mio è diventato per me quasi di vitale importanza. Necessario per ben cominciare la giornata.

E allora mi sono chiesta perché. Potrei aprire la porta finestra e uscire sul terrazzo, cosa che comunque faccio ma sempre un po’ più tardi, potrei semplicemente dedicarmi a tazze e cucchiaini, torte, biscotti e marmellate, senza cercare questo scorcio infinitesimale di mondo. E allora perché lo cerco?

Forse perché ho qualche remora a riaffacciarmi subito sulla totalità di quello che è fuori. Su quello che sento e che vedo succedere intorno a me. In fondo uno scorcio così relativamente piccolo mi permette di vedere soltanto uno spicchio di mondo e di vederlo anche solo per come vorrei che fosse. Una portafinestra limita meno e di sicuro amplifica, catapulta fuori, permette un accesso immediato a qualcosa di più grande. A uno spazio senza confine, a un insieme di aria e cielo, a una cacofonia di voci e di suoni. La finestrella invece mi invita ad immaginare ciò che non vedo, a fantasticare sul poco che colgo, ad ignorare tutto quello che non rientra nella mia visuale. Ed è per questo che io la cerco per un singolo attimo in ogni singola mattina. Per osservare un germoglio, un merlo solitario, lo scorcio di un ramo, un po’ di cielo tra tante foglie sparse. Per non vedere niente altro che questo. Niente di quel mondo fuori che più gira su se stesso e meno mi piace. Per allontanare da me il vocìo e i rumori, le dispute e i litigi, gli animi accesi sempre pronti a darsi addosso. Quel mondo che sembra non permettere più alcuna umana indecisione, profondità o paura, comprensione reciproca o semplice dubbio. Quel caotico universo che mi rende fragile, in cui sempre meno mi riconosco e da cui spesso sento prepotente la necessità di nascondermi.

Così occhieggio dalla mia finestrella… protetta dalle pareti verdi di quella mia stanza del cuore, raccolta come un fiore che ancora deve schiudersi, ma già propensa a farlo, intenta a sbirciare fuori con la speranza recondita che il mondo torni ad essere di nuovo come un tempo mi appariva. In realtà forse non so come sia mai stato veramente, ma vorrei soltanto che ai miei occhi tornasse come allora. Semplicemente un bel posto dove vivere.

Stamattina, alla luce fioca dell’alba, dalla mia finestrella ho visto una cincia. Piluccava qualcosa tra due lunghi fili d’erba che ieri non avevo notato. Chissà… forse sono appena nati. E magari insieme a lei. In un mondo nuovo.

Mi è piaciuto molto pensarlo.

4 pensieri su “La finestrella di cucina

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